È un dipinto a olio su tavola trasportata su tela di Raffaello Sanzio e aiuti, databile al 1517 circa e destinato alla chiesa di San Silvestro all’Aquila.
La pala d’altare era collocata nell’abside della navata sinistra della chiesa di San Silvestro, destinata a cappella della famiglia Branconio. Attualmente l’originale è conservato nel Museo del Prado di Madrid.
L’opera era giunta da Roma all’Aquila a certificare lo straordinario innalzamento economico e sociale della famiglia Branconio. Un’iscrizione in lettere d’oro posta alla base del dipinto recita infatti in basso nella parte sinistra: “RAPHAEL URBINAS, F.” e in quella destra “MARINUS BRANCONIUS, F,F” scritta che, secondo i canoni dell0abbreviazioni, deve essere sciolta in Raphael Urbinas, Fecit, Marinus Branconius, Fecit, Fieri che tradotta dal latino stereotipato delle formule, declama Raffaello urbinate fece, Marino Branconio fece fare. Paradossalmente la scritta invece di essere solamente letta deve essere interpretata: e dove si legge Raffaello si deve sciogliere in Raffaello e aiuti e dove Marino Branconio si deve intendere Giovan Battista Branconio. In realtà è il figlio di Marino, Giovan Battista, a chiedere e ad ottenere da Raffaello la Visitazione.
La scelta del soggetto è sicuramente legata a questioni di devozione familiare: la moglie di Marino Branconio si chiamava infatti Elisabetta che per questo aveva dato al figlio il nome Giovanni.
Giovanni Battista Branconio era un personaggio affermato e noto in tutta Roma, e il suo prestigio era legato non tanto alla sua attività di orafo, della quale oggi nulla rimane, ma al favore di due papi, prima di Giulio II e poi di Leone X. La fama successiva di Giovanni Battista si deve piuttosto al suo ruolo di custode di Annone, l’elefante albino donato al Papa dal re del Portogallo, Emmanuele il Fortunato e appunto all’amicizia con Raffaello.
Il rapporto tra Giovanni Battista Branconio e Raffaello risulta solidamente testimoniato dal palazzo edificato a Roma dall’urbinate per l’amico a partire dal 1518 e dal ruolo di esecutore testamentario che l’aquilano, assieme al cardinale Datario, Baldassarre Turrini da Pescia, svolse per il Sanzio.
La Visitazione mostra evidenti contatti, a vari gradi, con le opere di Raffaello e della sua bottega realizzate in questo giro di anni. LA struttura complessa a più livelli, cronologici e spaziali, con il primo molto ravvicinato per dare maestosità alle figure, isolandole come statue, e la scena del battesimo sullo sfondo, conseguenza temporalmente dilata dell’incontro delle due cugine, ricorda l’ultimo capolavoro del Sanzio, la Trasfigurazione. La Visitazione presenta, due scene, quella principale in cui le due donne si incontrano, anche se in questo caso, per altro non infrequente, il contesto architettonico non compare e in secondo piano, il Battesimo di Cristo.
Nel 1655 per le soverchianti pressioni del Re di Spagna Filippo IV e per l’accondiscendenza del Papa Alessandro VII gli aquilani furono forzati, con l’avvallo di un discendente del Branconio, a donare il dipinto.
A L’Aquila, in San Silvestro, è rimasta una copia, probabilmente realizzata da Giulio Cesare Bedeschini mentre affrescava le pareti della cappella Branconio.
Testi gentilmente concessi dal Prof. Michele Maccherini