Con i suoi sei metri circa di ampiezza, il rosone della chiesa di S. Silvestro a L’Aquila è il più grande fra quelli della città e, come altri, presenta la caratteristica rotazione, apparentemente irregolare, rispetto agli assi di riferimento, particolarità̀ che sottende significati simbolici o metaforici ancora tutti da verificare e conferisce dinamismo all’opera.
I rosoni aquilani hanno più volte dovuto affrontare la dura prova dei terremoti e non tutti l’hanno superata. Sono diverse le chiese che per questo motivo esibiscono la loro finestra di luce priva di raggiera, come ad esempio la chiesa di San Quinziano; ve ne sono altri che invece, pur sopravvissuti, hanno ricevuto un consolidamento più radicale: alcuni rosoni (p. es. nel San Domenico) sono stati direttamente incorporati nella muratura.
Il rosone è una struttura complessa in cui gli elementi si sostengono per mutuo contrasto. Partendo dall’esterno troviamo una corona eseguita in 3 modanature con decorazioni ornamentali diverse su cui s’innestano le 18 basi di partenza per le arcatelle che contrastano altrettante arcatelle raccordate ai capitelli fitomorfi e alle relative colonnine ottagonali. Queste ultime si collegano in 18 punti alla corona centrale realizzata in due blocchi e costituita da una cornice esterna classica ad ovuli e frecce, mentre all’interno quattro arcatelle trilobate realizzano una croce bizantina.
In fase costruttiva i raccordi tra i diversi elementi architettonici sono stati vincolati con l’impiego di perni e grappe di ferro piombate e successivamente stuccate. Sono visibili i canali realizzati per la colatura del piombo che doveva sigillare i perni in ferro. Le vetrate che completavano il rosone sono andate quasi completamente perdute, tranne piccoli frammenti applicati per mezzo di stuccature perimetrali visibili in alcune arcatelle. Le porzioni maggiori erano probabilmente fissate sulle barrette in ferro che collegavano le colonnine, in parte ancora presenti, e delle quali sono ben visibili i fori per il fissaggio.
Rimovendo il policarbonato di protezione del rosone sono stati ritrovati numerosi frammenti lapidei distaccati provenienti da arcatelle, capitelli e colonnine. Preliminare ad ogni altro intervento è stato lo smontaggio e la messa in sicurezza degli elementi lapidei pericolanti.
Eseguita pulitura, il consolidamento delle porzioni più degradate ed il trattamento biocida di tutta la superficie lapidea le porzioni cadute e le fessurazioni presenti sono state ricomposte anche con l’inserimento di perni in acciaio filettati fissati alle estremità con bulloni alloggiati in apposite sedi.
Le mancanze degli elementi costitutivi il rosone sono state reintegrate con l’inserimento di elementi lapidei scolpiti ed adattati alle lacune presenti. Le colonnine, le basi, i capitelli e gli archi sono stati collegati e resi solidali tra loro nei modi già progettati dai costruttori, a seguito di uno studio della tecnica di esecuzione originale. In tal modo è stata ristabilita la monoliticità dei singoli elementi e raggiunto un elevato miglioramento strutturale, un passaggio necessario per poter considerare il sistema come un unico insieme da sottoporre a studi specifici di vulnerabilità sismica.